31 dicembre 2007

Imani Coppola: The Black And White Album


Non riesco a capirne le ragioni, ma anche considerando i nomi immortali, faccio fatica a trovare un disco femminile per cui abbia mai sballato. Intendo, dove la componente creativa, tecnica e/o vocale principale fosse del gentil sesso.
Intendiamoci, questo album dal titolo molto impegnativo, non si esime dalla regola sopra esposta, ma forse, è quello che più ho apprezzato quest'anno.
Tra pop/pone e hip-pop/pone di prima categoria, splendidamente suonato ed interpretato dalla stravagante Imani, per la Ipecac Recording: casa discografica fondata da quel genialoide di Mike Patton, dove le sue influenze sono così evidenti, tanto da far pensare che Imani sia una Patton in gonnella (e continuo a fare il maschilista musicale).
Oggi ultimo dell'anno: sereno 2008.

29 dicembre 2007

Akron/Family: Love Is Simple

Quando c'è l'amore
Anacronistico ed illusorio quanto si vuole, ma l'amore parte dal cuore e questo disco è tutto meno che anacronistico ed illusorio. Splendide ballate di tempi ahimè andati, soffici cori che illustrano quadretti lieti di momenti da non dimenticare facilmente.
Qua potrete trovare tutto ed il contrario di tutto.
Non sarà un percorso facile.
La strada per arrivare ad ascoltare Love Is Simple non è diritta, ma impervia. E' un percorso pieno di tornanti, è una ripida strada di montagna che vi permetterà, una volta arrivati sulla cima, di avere in premio ossigeno purissimo.
Consideriamo solo la stordente Pony's O.G: fa a cazzotti con se stessa cambiando direzione più e più volte, lasciando basiti ed ammirati. Figuriamoci il resto dell'intera opera.
Doveroso procurarselo con mezzi leciti o no, l'importante è ascoltarlo. Poi fate Vobis.
Amore? Se è così, dico sempre si.

28 dicembre 2007

Wilco: Kicking Television

Due anni fa, nel periodo di Dicembre, mi facevo questo regalino natalizio.
Mai stato un fans dei live, ma forse è stato proprio un live tanti anni fa (troppi) ad indirizzarmi in una certa qual maniera, verso determinate coordinate musicali.
Gli Wilco non sono più etichettabili, oramai hanno una storia decennale e traducono suoni in energia mentale, forse è proprio per questo che ci chiedono di prendere a calci in culo la Televisione e la copertina di Kicking Television ne è il simbolo: questo è un album di pura luminosità.
Dotato di una registrazione perfetta, per chi non li conosce bene, questa è la grande occasione di ascoltare 23 brani coinvolgenti e solari (tanto per rifarsi alla copertina). Per chi già li conosce..... non si può chiedere di meglio ad un live ed è doveroso, obbligatorio ascoltarlo in religiosa ammirazione.

27 dicembre 2007

Kunek: Flight Of The Flynns

Difficile pensare ad un album d'esordio come questo, con un suono così maturo, caldo e intenso.
Perchè 'Flight Of The Flynns' ci regala un pop non semplice, profondo ed emozionale, a tratti psichedelico con tinte velatamente jazz, composto da dodici canzoni sempre collegate tra loro, che fuggono veloci come il vento, sino a formare un unico magnifico progetto malinconico di rara dolcezza. La morbida armonica di "All Together", il sereno crescendo di "The Swell", la purezza del piano in "Oh Noble Eric", lo struggente violoncello in "Das Ollec", contornate da una voce di "York-iana" memoria, sono solamente esempi di gran classe che lasciano il giusto segno.
Chi sono i Kunek? Un ispirato gruppo di multistrumentisti fuori dal tempo, capaci di far sognare l'ascoltatore su galleggianti architetture floydiane, dove è palpabile l'impronta di altri gruppi, come le inquietudini dei Radiohead ed i momenti eterei alla Sigur Ròs.
Ma è qui il maggior pregio di questo sestetto proveniente da un paesino dell'Oklahoma: perchè pur non inventando nulla, non sono i cloni di nessuno e ciò grazie ad un'interpretazione musicale di altissimo spessore, trovando il giusto spazio per ogni strumento, in un insieme di linee melodiche mai artificiali o sopra le righe, ma certamente ammalianti e d'effetto, riuscendo così, con estrema semplicità e naturalezza, a toccare l'anima nel profondo e donando un senso compiuto di rilassatezza. E scusate se è poco. Che altro dire? Che se non se li cagano nessuno, non è colpa loro.

solo nuovi brani

25 dicembre 2007

Joe Henry: Civilians

Buon Natale
A pranzo ho mangiato e bevuto come un maiale e domani mi aspetta ancora 'n' altra magnata. Un leggero mal di testa che batte in fronte, mi ha consigliato di non cenare e di rilassarmi in poltrona.
Quindi la scelta di stasera, è stata quella di tornare ad ascoltare questo lavoro di Joe Henry: musica della profonda America che ricorda i grandi cantautori, con pennellate di jazz e blues.
Un lavoro registrato, con la collaborazione di altri veri artisti, in pochissimi giorni: risultando così in presa diretta, molto fresco e naturale. Alcune tracce sono vere leccornie (Civilians, Parker's Mood, Time Is A Lion, Scare Me To Death, I Will Write My Book, Our Song, God Only Knows e siamo già ben oltre la metà), altre meno. A mio avviso un album troppo lungo, ma anche grazie alla gran voce di JH, se non si apprezzano serafiche malinconie come queste.....
Ho deciso di non farlo, ma avevo intenzione di cancellare quello che ho scritto qualche ora fa. Perchè? Perchè questo disco merita di più.

22 dicembre 2007

Zoff: "La scuola italiana dei portieri è morta"


A proposito di portieri
"Dopo Buffon il vuoto" è l'accorato grido di allarme che arriva dal Dino nazionale, il portiere azzurro per eccellenza, che guarda con pessimismo al futuro del ruolo
Roma, 20 dicembre 2007 - "La scuola italiana dei portieri è ormai persa". L'accorato grido di allarme arriva da Dino Zoff, il portiere azzurro per eccellenza, che guarda con pessimismo al futuro del ruolo. "Dopo Buffon vedo il vuoto assoluto - ha dichiarato ai microfoni di 'Radio Kiss Kiss Napoli' - le grandi squadre ora prendono estremi difensori brasiliani. Nel calcio si è stravolto tutto e ciò dipende principalmente dalla nostra cultura. I giovani preferiscono giocare in altri ruoli piuttosto che in porta perché non vogliono essere messi alla gogna in caso di errori". L'ex c.t. della nazionale italiana si è tolto anche un sassolino dalla scarpa: "Perché non sono diventato presidente della Federcalcio? Siamo in un mondo stravolto da Calciopoli e sembra quasi che non si arrivi mai alla fine. Evidentemente 'esigenze di potere' hanno imposto una sorta di veto al fatto che un uomo di calcio come me potesse essere a capo della Figc. Evidentemente non ne sono all`altezza ma è meglio starne fuori ad ogni modo. Un mio ritorno nel calcio? Non lo so, vediamo, ma certo non dipende solo da me".

16 dicembre 2007

Classifiche di fine anno

Lullubelle III
Ci risiamo. Tutti gli anni la stessa storia. La cosa difficile non è dare il 1° o il 2° posto. Il difficile è andare oltre. E' chiaro che non lo ha ordinato il dottore, ma ferme le manifestazioni agonistiche di fine anno, newsgroup, forum, blog e siti di dubbia e comprovata serietà, devono trovare l'alternativa nello "sport nazionale musicale" di fine anno.
E uno che deve fare? Si esime?
Ecco che allora armato di buona volontà e buoni propositi fai mente locale, perchè anche tu vuoi fare bella figura, magari con qualche nome poco conosciuto (che fa sempre molto figo). Poi casualmente (o no, poco importa), ti riascolti l'album di Lullubelle III (che per la storia, o leggenda, pare fosse il nome di questa splendida mucca qui raffigurata) e pensi: un disco del genere fosse inciso OGGI, come sarebbe classificato?
Personalmente odio le centinaia sfumature date alla musica contemporanea, ma adesso, in questo momento,l'assieme dello sfrigolio d'olio bollente che cuoce un uovo al tegamino (nella parte finale di Alan's Psychedelic Breakfest "strafogandosi" pure), dei fiati, dei cori, degli assoli di violino e degli stordenti giri di basso, non farei fatica a classificarlo come rock sperimentale ed alternativo, mettendolo al 1° posto "filato".
E' qua lo stridore, che sinceramente mi lascia....basito.
Rock sperimentale ed alternativo che tra non molto compirà 40 anni, al 1°posto?
Ecco che allora pensi pure a Echoes, Supper's Ready, I Know What I Like e chissà cos'altro, mentre la tristezza ti assale e ti senti terribilmente old.
Allora è giunto il momento di mandare a cagare la classifica annuale, anche se il "maledetto" Vic Chesnutt merita.
Merita proprio.

15 dicembre 2007

Moses Guest: Best Laid Plans


Cosa devrei fare per pompare una delle migliori incisioni di questo 2007? Già in passato ci avevo provato con i Kunek, ma l'operazione era miseramente fallita (già a proposito: i Kunek devo andarli a riprendere).
I Moses Guest sono tanto bravi quanto sconosciuti alle nostre latitudini che, con tutta la roba che si sente in giro, viene da chiedersi.....perchè?
Comunque, è da ringraziarli uno ad uno sino a quando sono sul palco. Ma anche quando stanno a casa.
Qua sotto potete provarli.
Non commuovetevi.

Månegarm: Urminnes Hävd: The Forest Sessions

Questo lo scrivevo a fine dicembre 2006:
E' questo. Spesso a fine anno arriva qualcosa di inaspettato, di strano ed intrigante. Quest'anno è toccato ai Månegarm, un quintetto svedese costituitosi oltre dieci anni fa, le cui radici hanno sempre affondato nella fertile terra di quel death metal scandinavo, che ha dato fama a molti gruppi del profondo nord.
Come già fatto in passato dai Finntroll (e non solo) con "Visor om slutet", le grandi sorprese sono i suoni, le melodie e l'atmosfera che si respira in questo generoso anticipo, di quello che sarà il loro prossimo full-album previsto per il prossimo anno: nessuna voce in "scream", nessuna sferragliata chitarristica, nessuna batteria claustrofobica, in quello che è certamente molto più che un cambio di rotta.
"Urminnes Hävd - The Forest Sessions" è un'incisione ancestrale di una dolcezza quasi irriverente, non solo grazie all'ultimo acquisto della band: il superbo violinista Janne Liljekvist (però già presente nell'ultimo lavoro), ma soprattutto per l'accompagnamento della folk-singer Umer Mossige-Norheim, loro connazionale dalla voce eterea, ma robusta, che trasporta l'ascoltatore in ambienti celtici mai oscuri e di assoluto fascino.
Un progetto completamente acustico, armoioso e di alto livello, cantato in lingua madre, alla ricerca della tradizione in puro stile medieval-folk. Un tipo di sonorità certamente troppe volte abusato, ma questa interpretazione rimane sorprendente per la facilità con cui si lascia ascoltare già dal primo ascolto, tra rumori di violenti temporali, venti gelidi ed il crepitio di un caldo caminetto.
Gli amanti del viking metal forse non l'apprezzeranno, o comunque ne rimarranno spiazzati, ma per gli altri potrebbe essere una gradita segnalazione.
Ecco, purtroppo devo ricredermi.
Questo è un EP delizioso, ma il loro nuovo full album, è una grande delusione per le mie orecchie.

9 dicembre 2007

Radiohead: In Raimbows


Spirito natalizio
Hanno già scritto tutto e tutti ed adesso è giunta anche l'espansione del 1° In Rainbows.
Voglio solo riportare un passo della recensione di Riccardo Bertoncelli tratta da Linus.net:
una delicatezza di fondo che segna tutti i brani, escluso forse lo scorbutico Bodysnatchers: sogni a cui ci si abbandona o a cui si oppone resistenza, malinconie accanite e in fondo voluttuose, su una scala a spirale che a tratti sembra quella percorsa da Jeff Buckley anni addietro, verso cieli estremi, nel profondo di sé. Questa delicatezza tocca un vertice perfino doloroso in Nude, una canzone che voglio immaginare sarà un talismano di bellezza per la nuova generazione, come lo sono state per i ragazzi di ieri certe ballate di Nick Drake o la Song To The Siren di Buckley padre (e poi dei Cocteau Twins). è il brano più incantato del disco, insieme a quella vertiginosa miniatura che è Faust Arp, due minuti e dieci secondi di poesia e sbalordimento: Thom Yorke sembra il cugino di Beck per come gioca con un arpeggio beatlesiano, smontando l’abituale collage Rh per uno schema più tradizionale di chitarra con accompagnamento di archi. McCartney (Blackbird) o Lennon (Julia) una ballata così l’avrebbero stirata con comodo: Yorke invece la accelera, la stringe, la snocciola in fretta, come impaurito del suo cuore dolcissimo. Inrainbows si apre con la febbre di 15 Step e i suoi fascinosi ritmi scazonti per chiudersi con la severa semplicità di Videotape, quasi un demo per pianoforte e voce su cui Phil Selway interviene con gesti trancianti di batteria. Tra inizio e fine un magico mondo di visionarie tastiere e campionamenti, la voce alata di Yorke, misurate chitarre elettriche e arpeggi di acustiche. Dopo un quarto d’ora un tuffo al cuore, quando ritrovo i miei amati Blue Nile in un seducente notturno (Weird Fishes/Arpeggi), mentre più in là appare una canzone ancora più sorprendente: House Of Cards ha la meravigliosa souplesse di certi brani anni ’60 e non a caso serba nel Dna il ricordo di una spiritata canzone di Carole King per Dusty Springfield e Byrds, Goin’ Back.
Voglio solo dire che ascoltare entrambi i CD, ha risvegliato in me il vero spirito natalizio. Quello spirito che non esiste più e che ho perso quando ho smesso di credere in Babbo Natale.
In fase di downloading mi trovavo davanti ai regali ancora da scartare.
Credo che mi divertirò per molto tempo.
Riccardo Bertoncelli su Linus.net:

8 dicembre 2007

The Dear Hunter: Act II The Meaning Of, & All Things Regarding Ms Leading

Quanto ho amato questo disco, me ne dovrò ricordare per la "personale classifica 2007".

Aiutatemi, perchè c'è qualcosa che non capisco in questo nuovissimo concept album proveniente da Boston: come è possibile innamorarsi di un'opera composta da ben 15 tracce per oltre 1h15' di musica, già al primo ascolto?
http://www.purevolume.com/thedearhunter
Probabilmente "Act II" è un'esperienza musicale che frantuma prima la mente che il cuore per poi essere completamente metabolizzato, grazie ad un concentrato di melodie ad alto peso specifico dotate di una prorompente forza d'urto e riducendo ai minimi termini quelle pause, forse inevitabili in un'opera così lunga ed estenuante (originariamente prevista in un doppio CD per ben 120'), che rischiano di farci cadere in un pop facilone.
Una brillante miscela di moltissimi generi, con incastonata la talentuosa e dirompente voce del barbuto e corpulento "genio di casa": il mentore Casey Crescenzo, ex leader del gruppo sperimentale post-hardcore "The Receiving End of Sirens", qui coadiuvato da cori e coretti tanto epici quanto emozionali e sorprendenti.
Già dall'ouverture, granitiche schitarrate e percussioni si alternano a momenti assolutamente trionfanti e classici, eseguiti da soffici archi ed ottoni, donando pienezza ad un progetto quasi leggendario di rock alternativo costellato da elementi puramente progressivi, dove la grande forza sta nella creatività qui architettata su sinfonie incalzanti, imponenti ed ambiziose.
Il "cacciatore" non può che lasciare il segno e Crescenzo ne è l'oracolo indiscusso. Quindi abbiate fiducia e tuffatevi in un'esperienza semi teatrale e stordente, perchè è un peccato non ascoltari.

7 dicembre 2007

Tv On The Radio: Return To Cookie Mountain

Intendiamoci,
avete fatto un gran bel disco, anche se forse preferisco il predente.
Ma una cosa la dovete spiegare:
è possibile sapere dove finiscono i capelli ed inizia la barba?
Anzi, no.
Dove finisce la barba ed inizano i capelli?
O è tutto basette?

3 dicembre 2007

Fish: 13th Star

A volte capita di trovare una persona, che non si vedeva da tanti anni. Capita e gli dici: "ehilà, ma sei sempre il solito. Complimenti!".
A volte lo dici per circostanza, altre no e magari ci rimani pure male perchè fai qualche paragone con te stesso.
Ecco, con Mister Fish (alias William Derek Dick) ex-leader dei primi Merillon, era veramente qualche anno che non ci incontravamo, e con tutta sincerità, non posso che rimanere sorpreso per quello che è senz'altro un 'ottimo lavoro.
"Non c'è che dire caro Fish, sei sempre il solito. Complimenti!" .
http://www.myspace.com/fishofficial

18 novembre 2007

Clint Mansell, Kronos Quartet & Mogwai: The Fountain

Speranza, vita, amore, morte.

"The Fountain" è qualcosa di epico e leggendario. E' la drammatica ricerca verso qualcosa che è paragonabile al Santo Graal, che esiste solo nei sogni e nelle speranze umane, perchè non solo è l'elisir di vita eterna, è l'amore eterno. E' l'apoteosi dell'essenza nel passato, adesso e nei secoli a venire. Qualcosa che è possibile raggiungere solo in un'altra vita, dopo la morte.
Presentato al 63° Festival di Venezia ed uscito nelle sale italiane quest'anno con il nome di "L' Albero della Vita", "The Fountain" è l'ultimo film del regista newyorkese Darren Aronosfky (interpretato dal premio oscar Rachel Weisz e da Hugh Jackman) e come il precedente "Requiem for a dream", si è avvalso delle melodie partorite dalla geniale mente di un artista vero come Clint Mansell, mentre l'interpretazione dei suoni è stata affidata ad un grande gruppo come i Mogwai, assieme ad un quartetto d'archi epico e leggendario quali i Kronos Quartet (2 violini, viola e violoncello).
La fusione di questi tre elementi, non poteva che generare un risultato superbo.
Poco importano i nomi delle 10 tracce (ma della prima, "The Last Man", potrete trovare sul MySpace di Mansell una versione di Antony Hegarty da lacrime): questa è un'opera che va valutata nel suo complesso. Un lungometraggio strumentale di moderna musica classica e rock sperimentale, esteticamente mistico e stordente, dove paura ed angoscia si rincorrono con il silenzio e la serenità, in un crescendo tanto ossessionante quanto affascinante, tra note commoventi di pianoforte, cori e percussioni talvolta tribali, con violini dalla grande forza evocativa capaci d'immergerci in mondi che non esistono.
Lasciatevi beatificare da un'opera affascinante e particolare, vincitrice come migliore colonna sonora del doppio Golden Globe Awards 2007, sia da parte del pubblico che della critica.
O la si ama, o la si odia, ma è impossibile rimanerne indefferenti. Imperdibile.

1 novembre 2007

Sleeptalker: SimplifySimplify

"Sleeptalker" è il nome di una nuova band formata da quattro musicisti con alle spalle una notevole esperienza e dall'età anagrafica non più verdissima. Provenienti da Nashville, hanno scelto di catalogare il loro esordio come "mini-album" (preferendolo ad "EP"), mostrando potenzialità non comuni.
Poco importa se questo è un lavoro di soli 29 minuti, perchè anche in così poco tempo riesce a donare un pop/rock nobile, (ascolate la profondità di "Follow Your Guns") dai grandi suoni e da fresche atmosfere pervase di Radiohead, con una voce intensa e delicata, catturandoci così, in maniera semplice, con un senso compiuto d'intimità e rilassatezza, in qualcosa che si avvicina molto all'ultimo di Glen Hasard e dei suoi The Frames: il bellissimo "The Cost".
"SimplifySimplify" ha un approccio musicale non rivoluzionario e spontaneo, anche se pare evidente una particolare attenzione agli arrangiamenti ed alla produzione, ma per loro stessa ammissione, questo è semplicemente un modo per iniziare, un'idea, una direzione dalla quale partire e che prevede il vero debutto l'anno prossimo.
Se questo è l'auspicio, sono da tenere in buona considerazione.

Man Man: Six Demon Bag

Bravissimi.
"Six Demon Bag" è stato uno tra le migliori incisioni del 2006.
Un misto di klezmer, folk e tanto altro, in quello che è comunque un grande affresco di rock alternativo architettato con lucida follia. Sempre esageratamente sopra le righe, sguaiato, quasi boccaccescho e cattivo, ma terribilmente attraente, per questo che è il secondo lavoro di un gruppo di "insani" multi-strumentisti provenienti da Philadelphia.
Mai noioso, divertente ed energetizzante come pochi altri ascolti, perchè loro sono geniali e pazzoidi con tanta, tanta classe, non c'è che dire.

19 ottobre 2007

Vic Chesnutt: North Star Deserter

Vergogna.
Si, un po' ne provo. Perchè "North Star Deserter" lo avevo ascoltato già una volta passandolo poi all'archivio. Fortuna vuole che ci sia tornato sopra ed ecco che è giunto il colpo di fulmine. Me ne vergogno, anche perchè Vic ha così tanta credibilità da spendere, che meritava da subito un ascolto più attento, continuato, senza alcun tipo di esitazione. Perchè quando lui vuole trasmettere qualcosa, le possibilità di ascoltare un grande lavoro sono alte. Perchè Vic, come pochi altri del cantautorato americano, ha quella magica capacità di raccontare con tre note ed un solo strumento, 100 cose e più, trasmettendo quella passione interiore, in maniera sanguigna e commovente.
Del disco è difficile parlare, si rischia di essere banali, superficiali, sprecando aggettivi. Folk e molto altro. Riverberi di acide chitarre elettriche distorte, armoniosi coretti, penetranti rullate di tamburi e la voce "malata", sono il corollario alla quantità di emozioni dispensate con l'aiuto di altri grandi artisti, tra i quali Silver Mt. Zion, Bruce Cawdron (Godspeed! You Black Emperor), Guy Picciotto (Fugazi).
"North Star Deserter" è un'incisione pesante, potente, quasi cattiva, talmente fisica che graffia la pelle, pervasa di profonda malinconia e sofferenza. Del resto, chi meglio di Vic, paralizzato dall'età di 18 ani per un incidente d'auto, ex-alcolista, ex-drogato, con vari tentativi di suicidio, può trasmettere la sofferenza? Ma anche se quello che fa scendere dal cielo non è pioggia sporca, ma è liquido denso che si attacca addosso e pervade tutto come fosse petrolio, Vic ha ugualmente il coraggio di cantarci che è tutto O.K. (You Are Never Alone).
"North Star Deserter", fa parte di quei dischi che arrivano dopo, ma quando arrivano colpiscono forte ed a giudizio dell'inadeguato scriba, questo è il suo capolavoro e, ad oggi, il miglior disco del 2007.

14 ottobre 2007

Micah P. Hinson: Micah P. Hinson And The Opera Circuit

Esistono poche parole, o forse troppi superlativi per definire questo autore, ma Micah P. Hinson è semplicemente un genio musicale.
Per capire come sia possibile, a soli 23 anni, essere già paragonato ai mostri sacri della musica d'autore mondiale, basta aprire la mente, avere pazienza ed ascoltarlo.
Micah ha creato un'opera dove l'ascoltare riceve pugni e carezze, l'alba ed il tramonto si uniscono, il grigio si trasforma in arcobaleno e viceversa, la malinconia e la speranza si rincorrono, ma anche nei momenti più tristi si riesce sempre a trovare una luce ed un sorriso. Un'opera a metà strada tra quella di Mark Oliver Everett e le Strings in “Live at Town Hall” e l'altro genio musicale americano, il diciannovenne Zach Condon di “Gulag Orkestar”, circuendo con chitarre, fiati ed archi a volontà.
E poi con quella voce... potrebbe cantare qualsiasi cosa, perchè se Antony è l'angelo, Hinson è il diavolo, un diavolo buono che ci prende per mano e ci aiuta ad aprire il cuore, a riflettere, ad emozionarci.
Sono già troppe parole.

9 ottobre 2007

Ólafur Arnalds: Eulogy for Evolution

Non si può negare che questo sia un album sorprendete.
Primo, perchè l'islandese Ólafur Arnalds, già impegnato anche in altri lavori (con il gruppo metal dei "Celestine" ed il progetto folk "My Summer As A Salvation Soldier") ha solamente vent'anni. Secondo, perchè "Eulogy for Evolution" è un debutto che arriva direttamente dal cielo, con un suono assolutamente maturo, composto da intrecci di piano, violini e violoncello, capace di farci cadere pesantemente nell'umida e profumata tundra islandese.
Arnalds, riesce ad immergerci nell'incontaminata natura della sua terra, con la pacatezza dei suoni di Matthew Cooper, la devastante malinconia di Matt Elliott, con la spensierata gioventù di un Micha P Hinson qualsiasi, raccontandoci in maniera completamente strumentale, magnifiche favole che ricordano tanto i Sigur Rós.
Belle melodie di musica classica su strutture moderne, accompagnate da leggerissimi, soffusi rumori ellettronici, dove l'artista usa il piano come fosse un cuneo, per penetrare e stordire. Mentre gli archi sono il vero grimaldello per aprire il cuore su un mondo immerso nel freddo, trasportandoci con una emozione fisica ad ammirare uno splendido paesaggio naturale.
Delle otto, sono solo due le tracce che, per brevi istanti, assumono un suono rock: la bellissima "3055" con un rullo di tamburi dallo stampo epico e "3704/3837", dove si assiste ad una vera esplosione di batteria e chitarre elettriche, bruscamente interrotte da un suono d'organo.
"Eulogy for Evolution" mostra la grande sensibilità artistica di un giovanissimo personaggio, rapinandoci con facilità ed eleganza, con atmosfere minimali ma intense, dalla grande presa emotiva. Un album non per tutti i momenti, ma per determinati momenti.
Se cercate la vostra malinconica colonna sonora d'autunno, fermatevi in Islanda e cercate di Ólafur Arnalds.
Tracklist : 0040 - 0048/0729 - 0952 - 1440 - 1953 - 3055 - 3326 - 3704/3837

7 ottobre 2007

Anathallo: Floating World

Quando meno te lo aspetti....
E' stato solamente un caso se ho ascoltato questa band proveniente dal Michigan, dal nome greco che significa rigenerarsi/rinascere. Band composta attualmente da 7 elementi (che nei live aumentano) e così mi sono trovato immerso inaspettatamente nel loro 'Floating World', ricco non solo di atmosfere dolci e serene, ma soprattutto di passione, energia, suoni.
14 tracce collegate spesso tra loro, in quello che è un concept-album iniziato nel 2003, su una delle parti più complesse ed essenziali del pensiero giapponese: il "mondo fluttuante" (che per gli stessi, rappresenta non solo storia ed arte, ma anche un metodo di vita, una specie di limbo, un salvagente a protezione del dolore e della malinconia), le cui enigmatiche sonorità rasentano una notevole potenza orchestrale, oltre ad una forza interiore che solo le grandi canzoni d'autore hanno, in cui la mente potrebbe anche correre verso Sufjan Stevens, Mùm ed Architecture In Helsinki.
Gli Anathallo potrebbero sembrare pretenziosi, invece credo che abbiano coraggio da vendere, proprio perchè perfettamente consapevoli della loro bravura: non si spiegherebbe altrimenti un progetto del genere così denso di difficoltà. L'esempio calzante viene da "Hanasakajijii (part I-IV)": una suite divisa in quattro parti, sulla storia di un cane che cerca l'oro per il proprio padrone, dal pop emozionale estremamente incisivo e vario. Ma come non poter segnalare anche la melodia costruita sui campanellini di "Dokkoise House (with face covered)", il ritmo altalenante di "Hoodwink", la dolce tribalità di "Kasa no Hone (the umbrella's bones)", la sognante "The Bruised Reed", il coinvolgimento che prende ascoltando "By Number".

Potenza e fragilità si mescolano nel "mondo fluttuante" degli Anathallo, che hanno realizzato delle magnifiche disordinate esplosioni sonore di non facile immediatezza, accompagnate costantemente dalla emozionale voce di Matt Joynt, dai cori ritmici degli altri componenti (una anche femminile), dal loro battito di mani e da trombe e clarinetti assolutamente coinvolgenti.
Grande sorpresa.

22 settembre 2007

The World/Inferno Friendship Society: Addicted to Bad Ideas: Peter Lorre's Twentieth Century

Può un folle criminale avere il cuore tenero ed un bel sorriso sul quale morire?
Una faccia tonda, piena, dolce, quasi gommosa, tanto da sembrare appena uscita dal museo delle cere. E' questa la maggiore caratteristica di Peter Lorre, grande attore austriaco che ebbe la fortuna, ma che ne segnò in maniera inequivocabile il suo ruolo di malvagio, di esordire con Fritz Lang in “M - il Mostro di Dusseldorf” (la cui locandina viene ripresa nel'artwork di questo splendido lavoro), per poi continuare a lavorare con i maggiori maestri del periodo, quali Hitchcock, John Huston, Frank Capra.
La vita di uno con la faccia da buono identificato da molti come cattivo, è la storia che ci racconta “Addicted to Bad Ideas...”, partendo proprio dal pedofilo assassino di Lang, passando per l'unica figlia avuta: Catharine, fino ad arrivare a parlarci della sua morte, avvenuta nel '64 per un attacco cardiaco.
Un progetto ambizioso ed originale, che trasforma le 11 tracce in un'opera punk-rock orchestrale, con uno splendido corollario fatto di sassofoni e clarinetti, tanto da caratterizzarne le melodie. Un vero e proprio musical, prodotto da qualcosa che, chiamare band è assai riduttivo. I W/IFS sono qualcosa di più: un ensemble, una tribù, una vera e propria società di amici, che nei suoi dieci anni di vita e l'alternarsi di innumerevoli musicisti, si sono stabilizzati negli attuali otto componenti, tra cui tre donne. Così come è riduttivo schematizzare il loro suono in un unico genere, che potrebbe essere tradotto in “musica quantistica”, uno Ska anarchico di grande qualità, a metà strada tra il cabaret dei Gogol Bordello e la genialoide pazzia dei Man Man, anche se in “I Just Make Faces” il ricordo va subito ai Manhattan Transfer (!).
Capaci di performance live tanto magiche, quanto coinvolgenti, il carismatico frontman del collettivo porta il nome di Jack Terricloth, personaggio “avvinazzato” e considerato quasi leggendario dalle parti di New York, dotato di gran voce e di una sensibilità interpretativa come pochi.
Lasciatevi prendere allo stomaco anche dai lavori precedenti (soprattutto dal penultimo: Red-Eyed Soul) e se proprio deve essere, se nel mio destino purtroppo fosse già scritto, vorrei che la faccia del mio assassino assomigliasse a Peter Lorre.



16 settembre 2007

Portieri, dove?

Della serie "ruoli ingrati".
Eravamo la patria dei portieri, adesso ringraziamo il cielo se ne abbiamo uno. Bravo per carità, il migliore, ma sempre uno è. Oggi siamo invasi da portieri stranieri, pure sudamericani (ma loro non erano i giocolieri?) e quindi mi chiedo che fine abbiano fatto quelli italiani.
La mia teoria.
Sin dalle giovanili, il portiere si sente dire: - l'importante è far goal. Cazzo; - occhio, che in quel caso devi fare il libero; - comunque se perdiamo è anche colpa tua; - cazzo, un miracolo potevi anche farlo no?; - è tutta questione di testa. Duro; - ti voglio con i piedi alla Baggio, sei il primo a dover impostare; - devi averci un fisico bestiale, altrimenti sei 'na pippa; - devi urlare di più, cazzo! Lo sai che i nostri centrali son duri d'orecchi; - stai troppo sulla linea di porta! Esci, 'ste palle son tue, cazzo; - ma perchè sei uscito! Se stavi in porta era una parata facile, facile. Ri-cazzo! - Quant'è alto babbo? E mamma?
Scoraggiati a livello giovanile (magari perchè i genitori non sono 1,90), scartati e disillusi da subito, decidono così, o di appendere prematuramente le scarpette al chiodo, o di trovarsi mortificati tra i pali, pensando di mandare tutti "affare in c...." . Forse qualcosa sta cambiando? Chissà. Ma stando così le cose, chi volete ci stia in porta? Con il fisico dell' "Incredible Hulk", con la voce di Pavarotti (pace all'anima sua), con i piedi alla "divin codino", con le mani di Yashin, ci sono rimasti solo i portieri del subbuteo ed intanto abbiamo rubato ottime guardie al basket.

The Reign Of Kindo: The Reign Of Kindo EP

"Per questa chicca di pura musica, è tornato Joe Jackson e si è fatto in cinque."
Dalle ceneri dei talentuosi This Day & Age provenienti da Buffalo N.Y. e con una sola sostituzione nell'organico, nascono i The Reign Of Kindo, che decidendo di ampliare i loro orizzonti musicali, cambiano decisamente strada, passando da un suono pop/progressivo ad un ibrido jazz/pop tanto coinvolgente, quanto creativo.
A pochi mesi dalla nascita del loro progetto musicale, il primo lavoro è un EP omonimo uscito ad Agosto, composto da sei tracce suggestive, in una perfetta miscela di melodia, potenza e classe.
Un disco pervaso da un aurea di divertente rilassatezza e dotato di una eleganza non formale: provate a lasciarvi cullare dalla quiete notturna di "Set The Stage, Cue The Music", dalla tromba di "Hard To Beleve", dalla profonda carica dinamica di "Needle & Thread" e "Just Wait", dal dolce oblio di "Do You Realize", dall'ottima orchestrazione vocale di "One Man Parade". Il tutto, viene interamente sopportato dalla grande interpretazione al piano di Kelly Sciandra e dalla bellissima voce di Joseph Secchiaroli, che ricordano più di ogni altra cosa lo straordinario Joe Jackson (quello di "Night and Day" e "Body and Soul" che da troppo tempo non ascolto). Il quintetto in questione è formato da impeccabili musicisti e grazie ad una raffinata capacità di scrittura, ci hanno lasciato un segnale sulle loro grandi potenzialità (anche live). Quindi godiamoci questo squisito antipasto fusion, in trepida attesa del vero lavoro previsto per i primi mesi del prossimo anno e per coloro che non amano il jazz (ma questo non lo è), adesso con i The Reign Of Kindo gli sarete certamente più vicino.

15 settembre 2007

Final Fantasy: He Poos Clouds


Per uscire dalle sabbie mobili create da quel mostro di Matt Elliot, che inghiotte e trascina in un profondo abisso fatto di materia, Mr. Final Fantasy non è il massimo, ma forse è proprio questa vicinanza di ascolti che "He Poos Clouds" mi ha portato ad avvertire una rilassatezza compiuta e divertita, trovandovi anche una buona dose di ironia.
In onore del videogioco giapponese, Final Fintasy è semplicemente l'orribile moniker del venticinquenne canadese Owen Pallet, violinista già noto per aver suonato ed arrangiato la sezione d'archi di "Funeral" degli Arcade Fire, aver collaborato con gli Hidden Cameras e che, prossimamente, dovrebbe essere a fianco della nuova fatica di David Bowie.
Spesso abbiamo trovato artisti che, partendo dai loro successi, hanno rivisitato in chiave classica le loro opere. In questo caso il biondo di Toronto, al suo secondo lavoro da solista, ha realizzato il cammino inverso, reinventado una colonna sonora che sarebbe stata perfetta per un film di Tim Burton. "He Poos Clouds" (pessimo titolo) mette a fuoco dieci composizioni per quartetto d'archi, piano, percussioni, clavicembalo e poco altro. E' come assistere ad un concerto di musica da camera con innesti di splendide melodie ora barocche, ora avanguardistiche, ricche di sonorità orchestrali ed ambientali. Un pop da camera di classe, per niente banale e scontato, con una creatività di intricati arrangiamenti fuori dal comune.
La bellissima title-track dove costantemente fa capolino un clarinetto, il divertente piano di "This Lamb Sells Condos" accompagnato da un coro di bambini, l'orgia dei violini pizzicati di "Song Song Song", l'originalissima "Many Lives -> 49 MP" che ci trasporta ai cori di guerre medioevali, la sbarazzina "Do You Love?" e non solo, sono momenti emozionanti e visionari per un album che, comunque, è da ascoltare più volte.

Matt Elliott: Failing Songs

Così non è giusto, quindi alzo le mani e mi arrendo.
Perchè quando ci troviamo a scrivere di un artista immenso, il pericolo di essere banale e scontato è molto alto.
Già, perchè è dal '97, sotto il nome di Third Eye Foundation, che Matt Elliott non smette di stupire e con questa sua terza opera solista ci trasporta in un quadro senza colori di De Chirico, in un film muto degli anni '20, dove la malinconia e l'angoscia pare siano le padrone assolute, anche se la sua creatività e dolcezza, tra canti di uccellini e temporali improvvisi, riempie ugualmente il cuore di serenità.
"Failing Songs" è un magico viaggio nel nostro Mediterraneo, tra il sole della Grecia, l'atmosfera dei paesi slavi ed i profumi della penisola Iberica, a metà strada tra le sonorità di Jeremy Barnes (A Hack And A Hacksaw e Neutral Milk Hotel) e quelle di Zach Condon (Beirut), ma più cupe, dilatate e soprattutto epiche.
Il tango della title-track, la strabordante "Planting Seeds" (ballata per chitarra e violino), l'orchestrale "Desamparado", l'intensa "Broken Bones", la oscura "Lone Gunman Required", la dolcissima strumentale "The Ghost Of Maria Callas" (chitarra e canto di uccellini), fanno parte di 12 opere geniali, tra fisarmoniche, tappeti d'archi, trombe e cori, dove chitarra e testi antimilitaristi ne sono comunque il filo conduttore.
Se il precedente "Drinking Songs" vi aveva stordito, questo vi farà cadere a terra, ma appena vi rialzerete noterete che i colori grigi e cupi non ci sono più, gli arbusti secchi si sono trasformati in alberi rigogliosi e quella terra arsa e polverosa che vi entrava nei polmoni è adesso un tappeto erboso.
Un grandissimo cantautore.

Anch'io son qua.

Non spingete, non abbiate fretta. E' vero sono arrivato in ritardo, ma qualcosa scriverò. Magari andando a riprendere cose scritte in passato da altre parti, per fare un archivio personale, per cercare di trasmettere qualcosa. Ma questo è semplicemente un illusione. Comunque, a mero titolo personale, come una sorta di memoria storica personale (visto che oramai non ricordo mai un cazzo), ci provo.

Saluti, Addison.