22 settembre 2007

The World/Inferno Friendship Society: Addicted to Bad Ideas: Peter Lorre's Twentieth Century

Può un folle criminale avere il cuore tenero ed un bel sorriso sul quale morire?
Una faccia tonda, piena, dolce, quasi gommosa, tanto da sembrare appena uscita dal museo delle cere. E' questa la maggiore caratteristica di Peter Lorre, grande attore austriaco che ebbe la fortuna, ma che ne segnò in maniera inequivocabile il suo ruolo di malvagio, di esordire con Fritz Lang in “M - il Mostro di Dusseldorf” (la cui locandina viene ripresa nel'artwork di questo splendido lavoro), per poi continuare a lavorare con i maggiori maestri del periodo, quali Hitchcock, John Huston, Frank Capra.
La vita di uno con la faccia da buono identificato da molti come cattivo, è la storia che ci racconta “Addicted to Bad Ideas...”, partendo proprio dal pedofilo assassino di Lang, passando per l'unica figlia avuta: Catharine, fino ad arrivare a parlarci della sua morte, avvenuta nel '64 per un attacco cardiaco.
Un progetto ambizioso ed originale, che trasforma le 11 tracce in un'opera punk-rock orchestrale, con uno splendido corollario fatto di sassofoni e clarinetti, tanto da caratterizzarne le melodie. Un vero e proprio musical, prodotto da qualcosa che, chiamare band è assai riduttivo. I W/IFS sono qualcosa di più: un ensemble, una tribù, una vera e propria società di amici, che nei suoi dieci anni di vita e l'alternarsi di innumerevoli musicisti, si sono stabilizzati negli attuali otto componenti, tra cui tre donne. Così come è riduttivo schematizzare il loro suono in un unico genere, che potrebbe essere tradotto in “musica quantistica”, uno Ska anarchico di grande qualità, a metà strada tra il cabaret dei Gogol Bordello e la genialoide pazzia dei Man Man, anche se in “I Just Make Faces” il ricordo va subito ai Manhattan Transfer (!).
Capaci di performance live tanto magiche, quanto coinvolgenti, il carismatico frontman del collettivo porta il nome di Jack Terricloth, personaggio “avvinazzato” e considerato quasi leggendario dalle parti di New York, dotato di gran voce e di una sensibilità interpretativa come pochi.
Lasciatevi prendere allo stomaco anche dai lavori precedenti (soprattutto dal penultimo: Red-Eyed Soul) e se proprio deve essere, se nel mio destino purtroppo fosse già scritto, vorrei che la faccia del mio assassino assomigliasse a Peter Lorre.



16 settembre 2007

Portieri, dove?

Della serie "ruoli ingrati".
Eravamo la patria dei portieri, adesso ringraziamo il cielo se ne abbiamo uno. Bravo per carità, il migliore, ma sempre uno è. Oggi siamo invasi da portieri stranieri, pure sudamericani (ma loro non erano i giocolieri?) e quindi mi chiedo che fine abbiano fatto quelli italiani.
La mia teoria.
Sin dalle giovanili, il portiere si sente dire: - l'importante è far goal. Cazzo; - occhio, che in quel caso devi fare il libero; - comunque se perdiamo è anche colpa tua; - cazzo, un miracolo potevi anche farlo no?; - è tutta questione di testa. Duro; - ti voglio con i piedi alla Baggio, sei il primo a dover impostare; - devi averci un fisico bestiale, altrimenti sei 'na pippa; - devi urlare di più, cazzo! Lo sai che i nostri centrali son duri d'orecchi; - stai troppo sulla linea di porta! Esci, 'ste palle son tue, cazzo; - ma perchè sei uscito! Se stavi in porta era una parata facile, facile. Ri-cazzo! - Quant'è alto babbo? E mamma?
Scoraggiati a livello giovanile (magari perchè i genitori non sono 1,90), scartati e disillusi da subito, decidono così, o di appendere prematuramente le scarpette al chiodo, o di trovarsi mortificati tra i pali, pensando di mandare tutti "affare in c...." . Forse qualcosa sta cambiando? Chissà. Ma stando così le cose, chi volete ci stia in porta? Con il fisico dell' "Incredible Hulk", con la voce di Pavarotti (pace all'anima sua), con i piedi alla "divin codino", con le mani di Yashin, ci sono rimasti solo i portieri del subbuteo ed intanto abbiamo rubato ottime guardie al basket.

The Reign Of Kindo: The Reign Of Kindo EP

"Per questa chicca di pura musica, è tornato Joe Jackson e si è fatto in cinque."
Dalle ceneri dei talentuosi This Day & Age provenienti da Buffalo N.Y. e con una sola sostituzione nell'organico, nascono i The Reign Of Kindo, che decidendo di ampliare i loro orizzonti musicali, cambiano decisamente strada, passando da un suono pop/progressivo ad un ibrido jazz/pop tanto coinvolgente, quanto creativo.
A pochi mesi dalla nascita del loro progetto musicale, il primo lavoro è un EP omonimo uscito ad Agosto, composto da sei tracce suggestive, in una perfetta miscela di melodia, potenza e classe.
Un disco pervaso da un aurea di divertente rilassatezza e dotato di una eleganza non formale: provate a lasciarvi cullare dalla quiete notturna di "Set The Stage, Cue The Music", dalla tromba di "Hard To Beleve", dalla profonda carica dinamica di "Needle & Thread" e "Just Wait", dal dolce oblio di "Do You Realize", dall'ottima orchestrazione vocale di "One Man Parade". Il tutto, viene interamente sopportato dalla grande interpretazione al piano di Kelly Sciandra e dalla bellissima voce di Joseph Secchiaroli, che ricordano più di ogni altra cosa lo straordinario Joe Jackson (quello di "Night and Day" e "Body and Soul" che da troppo tempo non ascolto). Il quintetto in questione è formato da impeccabili musicisti e grazie ad una raffinata capacità di scrittura, ci hanno lasciato un segnale sulle loro grandi potenzialità (anche live). Quindi godiamoci questo squisito antipasto fusion, in trepida attesa del vero lavoro previsto per i primi mesi del prossimo anno e per coloro che non amano il jazz (ma questo non lo è), adesso con i The Reign Of Kindo gli sarete certamente più vicino.

15 settembre 2007

Final Fantasy: He Poos Clouds


Per uscire dalle sabbie mobili create da quel mostro di Matt Elliot, che inghiotte e trascina in un profondo abisso fatto di materia, Mr. Final Fantasy non è il massimo, ma forse è proprio questa vicinanza di ascolti che "He Poos Clouds" mi ha portato ad avvertire una rilassatezza compiuta e divertita, trovandovi anche una buona dose di ironia.
In onore del videogioco giapponese, Final Fintasy è semplicemente l'orribile moniker del venticinquenne canadese Owen Pallet, violinista già noto per aver suonato ed arrangiato la sezione d'archi di "Funeral" degli Arcade Fire, aver collaborato con gli Hidden Cameras e che, prossimamente, dovrebbe essere a fianco della nuova fatica di David Bowie.
Spesso abbiamo trovato artisti che, partendo dai loro successi, hanno rivisitato in chiave classica le loro opere. In questo caso il biondo di Toronto, al suo secondo lavoro da solista, ha realizzato il cammino inverso, reinventado una colonna sonora che sarebbe stata perfetta per un film di Tim Burton. "He Poos Clouds" (pessimo titolo) mette a fuoco dieci composizioni per quartetto d'archi, piano, percussioni, clavicembalo e poco altro. E' come assistere ad un concerto di musica da camera con innesti di splendide melodie ora barocche, ora avanguardistiche, ricche di sonorità orchestrali ed ambientali. Un pop da camera di classe, per niente banale e scontato, con una creatività di intricati arrangiamenti fuori dal comune.
La bellissima title-track dove costantemente fa capolino un clarinetto, il divertente piano di "This Lamb Sells Condos" accompagnato da un coro di bambini, l'orgia dei violini pizzicati di "Song Song Song", l'originalissima "Many Lives -> 49 MP" che ci trasporta ai cori di guerre medioevali, la sbarazzina "Do You Love?" e non solo, sono momenti emozionanti e visionari per un album che, comunque, è da ascoltare più volte.

Matt Elliott: Failing Songs

Così non è giusto, quindi alzo le mani e mi arrendo.
Perchè quando ci troviamo a scrivere di un artista immenso, il pericolo di essere banale e scontato è molto alto.
Già, perchè è dal '97, sotto il nome di Third Eye Foundation, che Matt Elliott non smette di stupire e con questa sua terza opera solista ci trasporta in un quadro senza colori di De Chirico, in un film muto degli anni '20, dove la malinconia e l'angoscia pare siano le padrone assolute, anche se la sua creatività e dolcezza, tra canti di uccellini e temporali improvvisi, riempie ugualmente il cuore di serenità.
"Failing Songs" è un magico viaggio nel nostro Mediterraneo, tra il sole della Grecia, l'atmosfera dei paesi slavi ed i profumi della penisola Iberica, a metà strada tra le sonorità di Jeremy Barnes (A Hack And A Hacksaw e Neutral Milk Hotel) e quelle di Zach Condon (Beirut), ma più cupe, dilatate e soprattutto epiche.
Il tango della title-track, la strabordante "Planting Seeds" (ballata per chitarra e violino), l'orchestrale "Desamparado", l'intensa "Broken Bones", la oscura "Lone Gunman Required", la dolcissima strumentale "The Ghost Of Maria Callas" (chitarra e canto di uccellini), fanno parte di 12 opere geniali, tra fisarmoniche, tappeti d'archi, trombe e cori, dove chitarra e testi antimilitaristi ne sono comunque il filo conduttore.
Se il precedente "Drinking Songs" vi aveva stordito, questo vi farà cadere a terra, ma appena vi rialzerete noterete che i colori grigi e cupi non ci sono più, gli arbusti secchi si sono trasformati in alberi rigogliosi e quella terra arsa e polverosa che vi entrava nei polmoni è adesso un tappeto erboso.
Un grandissimo cantautore.

Anch'io son qua.

Non spingete, non abbiate fretta. E' vero sono arrivato in ritardo, ma qualcosa scriverò. Magari andando a riprendere cose scritte in passato da altre parti, per fare un archivio personale, per cercare di trasmettere qualcosa. Ma questo è semplicemente un illusione. Comunque, a mero titolo personale, come una sorta di memoria storica personale (visto che oramai non ricordo mai un cazzo), ci provo.

Saluti, Addison.