19 ottobre 2007

Vic Chesnutt: North Star Deserter

Vergogna.
Si, un po' ne provo. Perchè "North Star Deserter" lo avevo ascoltato già una volta passandolo poi all'archivio. Fortuna vuole che ci sia tornato sopra ed ecco che è giunto il colpo di fulmine. Me ne vergogno, anche perchè Vic ha così tanta credibilità da spendere, che meritava da subito un ascolto più attento, continuato, senza alcun tipo di esitazione. Perchè quando lui vuole trasmettere qualcosa, le possibilità di ascoltare un grande lavoro sono alte. Perchè Vic, come pochi altri del cantautorato americano, ha quella magica capacità di raccontare con tre note ed un solo strumento, 100 cose e più, trasmettendo quella passione interiore, in maniera sanguigna e commovente.
Del disco è difficile parlare, si rischia di essere banali, superficiali, sprecando aggettivi. Folk e molto altro. Riverberi di acide chitarre elettriche distorte, armoniosi coretti, penetranti rullate di tamburi e la voce "malata", sono il corollario alla quantità di emozioni dispensate con l'aiuto di altri grandi artisti, tra i quali Silver Mt. Zion, Bruce Cawdron (Godspeed! You Black Emperor), Guy Picciotto (Fugazi).
"North Star Deserter" è un'incisione pesante, potente, quasi cattiva, talmente fisica che graffia la pelle, pervasa di profonda malinconia e sofferenza. Del resto, chi meglio di Vic, paralizzato dall'età di 18 ani per un incidente d'auto, ex-alcolista, ex-drogato, con vari tentativi di suicidio, può trasmettere la sofferenza? Ma anche se quello che fa scendere dal cielo non è pioggia sporca, ma è liquido denso che si attacca addosso e pervade tutto come fosse petrolio, Vic ha ugualmente il coraggio di cantarci che è tutto O.K. (You Are Never Alone).
"North Star Deserter", fa parte di quei dischi che arrivano dopo, ma quando arrivano colpiscono forte ed a giudizio dell'inadeguato scriba, questo è il suo capolavoro e, ad oggi, il miglior disco del 2007.

14 ottobre 2007

Micah P. Hinson: Micah P. Hinson And The Opera Circuit

Esistono poche parole, o forse troppi superlativi per definire questo autore, ma Micah P. Hinson è semplicemente un genio musicale.
Per capire come sia possibile, a soli 23 anni, essere già paragonato ai mostri sacri della musica d'autore mondiale, basta aprire la mente, avere pazienza ed ascoltarlo.
Micah ha creato un'opera dove l'ascoltare riceve pugni e carezze, l'alba ed il tramonto si uniscono, il grigio si trasforma in arcobaleno e viceversa, la malinconia e la speranza si rincorrono, ma anche nei momenti più tristi si riesce sempre a trovare una luce ed un sorriso. Un'opera a metà strada tra quella di Mark Oliver Everett e le Strings in “Live at Town Hall” e l'altro genio musicale americano, il diciannovenne Zach Condon di “Gulag Orkestar”, circuendo con chitarre, fiati ed archi a volontà.
E poi con quella voce... potrebbe cantare qualsiasi cosa, perchè se Antony è l'angelo, Hinson è il diavolo, un diavolo buono che ci prende per mano e ci aiuta ad aprire il cuore, a riflettere, ad emozionarci.
Sono già troppe parole.

9 ottobre 2007

Ólafur Arnalds: Eulogy for Evolution

Non si può negare che questo sia un album sorprendete.
Primo, perchè l'islandese Ólafur Arnalds, già impegnato anche in altri lavori (con il gruppo metal dei "Celestine" ed il progetto folk "My Summer As A Salvation Soldier") ha solamente vent'anni. Secondo, perchè "Eulogy for Evolution" è un debutto che arriva direttamente dal cielo, con un suono assolutamente maturo, composto da intrecci di piano, violini e violoncello, capace di farci cadere pesantemente nell'umida e profumata tundra islandese.
Arnalds, riesce ad immergerci nell'incontaminata natura della sua terra, con la pacatezza dei suoni di Matthew Cooper, la devastante malinconia di Matt Elliott, con la spensierata gioventù di un Micha P Hinson qualsiasi, raccontandoci in maniera completamente strumentale, magnifiche favole che ricordano tanto i Sigur Rós.
Belle melodie di musica classica su strutture moderne, accompagnate da leggerissimi, soffusi rumori ellettronici, dove l'artista usa il piano come fosse un cuneo, per penetrare e stordire. Mentre gli archi sono il vero grimaldello per aprire il cuore su un mondo immerso nel freddo, trasportandoci con una emozione fisica ad ammirare uno splendido paesaggio naturale.
Delle otto, sono solo due le tracce che, per brevi istanti, assumono un suono rock: la bellissima "3055" con un rullo di tamburi dallo stampo epico e "3704/3837", dove si assiste ad una vera esplosione di batteria e chitarre elettriche, bruscamente interrotte da un suono d'organo.
"Eulogy for Evolution" mostra la grande sensibilità artistica di un giovanissimo personaggio, rapinandoci con facilità ed eleganza, con atmosfere minimali ma intense, dalla grande presa emotiva. Un album non per tutti i momenti, ma per determinati momenti.
Se cercate la vostra malinconica colonna sonora d'autunno, fermatevi in Islanda e cercate di Ólafur Arnalds.
Tracklist : 0040 - 0048/0729 - 0952 - 1440 - 1953 - 3055 - 3326 - 3704/3837

7 ottobre 2007

Anathallo: Floating World

Quando meno te lo aspetti....
E' stato solamente un caso se ho ascoltato questa band proveniente dal Michigan, dal nome greco che significa rigenerarsi/rinascere. Band composta attualmente da 7 elementi (che nei live aumentano) e così mi sono trovato immerso inaspettatamente nel loro 'Floating World', ricco non solo di atmosfere dolci e serene, ma soprattutto di passione, energia, suoni.
14 tracce collegate spesso tra loro, in quello che è un concept-album iniziato nel 2003, su una delle parti più complesse ed essenziali del pensiero giapponese: il "mondo fluttuante" (che per gli stessi, rappresenta non solo storia ed arte, ma anche un metodo di vita, una specie di limbo, un salvagente a protezione del dolore e della malinconia), le cui enigmatiche sonorità rasentano una notevole potenza orchestrale, oltre ad una forza interiore che solo le grandi canzoni d'autore hanno, in cui la mente potrebbe anche correre verso Sufjan Stevens, Mùm ed Architecture In Helsinki.
Gli Anathallo potrebbero sembrare pretenziosi, invece credo che abbiano coraggio da vendere, proprio perchè perfettamente consapevoli della loro bravura: non si spiegherebbe altrimenti un progetto del genere così denso di difficoltà. L'esempio calzante viene da "Hanasakajijii (part I-IV)": una suite divisa in quattro parti, sulla storia di un cane che cerca l'oro per il proprio padrone, dal pop emozionale estremamente incisivo e vario. Ma come non poter segnalare anche la melodia costruita sui campanellini di "Dokkoise House (with face covered)", il ritmo altalenante di "Hoodwink", la dolce tribalità di "Kasa no Hone (the umbrella's bones)", la sognante "The Bruised Reed", il coinvolgimento che prende ascoltando "By Number".

Potenza e fragilità si mescolano nel "mondo fluttuante" degli Anathallo, che hanno realizzato delle magnifiche disordinate esplosioni sonore di non facile immediatezza, accompagnate costantemente dalla emozionale voce di Matt Joynt, dai cori ritmici degli altri componenti (una anche femminile), dal loro battito di mani e da trombe e clarinetti assolutamente coinvolgenti.
Grande sorpresa.